Il problema della legalizzazione delle droghe leggere

La “liberalizzazione delle droghe leggere” rappresenta un argomento che da sempre divide il mondo scientifico. La scelta del libero acquisto, infatti, presso strutture legali è una decisione fondamentalmente politica, che nulla ha a che fare con la scienza.

I termini leggero o pesante riferiti ad un farmaco non appartengono alle categorie della farmacologia, per cui la definizione di droghe leggere così radicata nell’opinione pubblica, in realtà è assolutamente priva di fondamento scientifico. Il termine “leggero”, riferito alle sostanze di abuso che inducono lieve dipendenza è fuorviante, soprattutto per i giovani.

Essendo ampiamente conosciuti, anche per motivi storici, gli effetti di grave intossicazione che provoca LSD o psilocibina, per cui nessuno la indicherebbe come una droga leggera, per affrontare il problema della legalizzazione è più corretto fare riferimento a sostanze come la nicotina, la caffeina, il D9-tetracannabinolo, cioè i principi attivi presenti nel caffè, nel tabacco e nella marijuana.

Delle prime due gli effetti dannosi sulla salute sono oramai molto conosciuti e vivono una fase di limitazione del loro uso. Ricordare i danni del tabacco e il dispendio di risorse economiche e umane che le patologie che provocano arrecano è, però, importante; perché sottolinea il ruolo del politico nella mediazione fra rigidità dei dati obiettivi relativi ad un problema e le istanze socioculturali che lo alimentano.

Gli effetti acuti della marijuana riguardano prevalentemente l’apparato cardiocircolatorio, quello gastrointestinale, il sistema immunitario ed il sistema nervoso centrale. Chi fuma cannabis rischia extrasistoli e modificazioni del tracciato elettrocardiografico, attribuibili al maggiore consumo di ossigeno da parte del miocardio. Le crisi di angor si verificano nei soggetti a rischio. Invece, gli effetti sulla pressione arteriosa sistemica sono meno uniformi. Più frequenti per i consumatori di dosi medio-alte sono i casi di ipotensione ortostatica e lipotimia. I cannabinoidi, nonostante le proprietà antiemetiche, provocano nausea e vomito in modo acuto soprattutto se sono associati ad alcolici. Frequenti sono i casi descritti di diarrea. L’aumento inevitabile delle dosi comporta la comparsa di tremori e lieve incoordinazione motoria, si registrano anche alterazioni delle capacità percettive sensoriali e delle abilità cognitive. Nella guida simulata presentano deficit evidenti. A volte si associa ansia con lo sviluppo di un attacco di panico.

La cannabis può scatenare o aggravare una preesistente patologia psichiatrica e in modo particolare la “psicosi”.

Gli uomini che fumano abitualmente marijuana fanno registrare effetti sul sistema riproduttivo; infatti, i tassi di testosterone sono nettamente più bassi. Nella donna l’uso cronico durante la gravidanza provoca una diminuzione del peso nel neonato alla nascita, elemento che è proporzionale all’uso giornaliero che se ne è fatto.

Va ricordato che il D9-THC è mutageno in vitro e teratogeno in vivo per concentrazioni tissutali elevate. Questi effetti sono probabilmente legati a meccanismi di interazione fisico-chimica con i fosfolipidi di membrana e possono essere causa di malformazioni nel nascituro.

Il THC si lega nel cervello ai recettori dei cannabinoidi, che regolano il movimento, la coordinazione motoria, la memoria. Quando il THC entra in circolo provoca euforia, benessere perché stimola il rilascio di dopamina. I colori sembrano più intensi, il tempo da l’impressione di passare più lentamente e il tutto si accompagna ad un incremento della fame e della sete.

Il THC o delta-9-tetracannabinolo è una sostanza estratta dalla canapa in percentuali superiori al 3% e questo ne fa una sostanza stupefacente in grado di alterare lo stato di coscienza di chi ne fa uso.

Il CBD o cannabidiolo è una canapa light, i cui effetti psicoattivi non sono assolutamente innocui. Il processo, purtroppo, da cui ha avuto origine la sentenza relativa al CBD è nato nel 2020 e ha visto imputati due ex amministratori di una società che produceva e vendeva sigarette elettroniche contenenti olio di CBD.

La Corte Europea, con la sentenza del 19 novembre del 2020, si è pronunciata a favore della vendita di queste e conseguentemente del consumo di CBD in Europa e in Italia.

La Corte ha dichiarato che questa sostanza deve essere estratta da una pianta che deve avere livelli di THC inferiori allo 0.2%, unico tipo che può essere coltivato in Europa.

La legge italiana, però, regola la produzione di canapa con la Lg. 242, con la quale stabilisce gli ambiti di utilizzo consentiti e la composizione ammessa.

All’art. 2 comma 2 si specificano gli utilizzi consentiti:

  1. prodotti alimentari e cosmetici;
  2. semilavorati, oli e carburanti;
  3. materiali per la bioingegneria o la bioedilizia;
  4. coltivazioni dedicate allo svolgimento di attività didattiche.

La legge non fa cenno al CBD.

Ma non tutto va secondo gli interessi illeciti di chi sta dietro questi consumi. Il 12 gennaio 2022 la Conferenza Stato Regioni ha approvato un decreto interministeriale che mira a ridefinire “l’elenco delle specie di piante officinali coltivate e i criteri di raccolta e trasformazione delle piante officinali spontanee”. Un provvedimento questo che rischia di mandare a monte tutto il business della cannabis light in Italia.

Nel 2019 le sezioni unite penali della suprema corte hanno deciso che la legge non consente, in base a quanto detto sopra, la vendita dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis, come l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. A causa di vari cavilli giuridici tra vari corpi con competenze diverse solo pochi punti vendita sono stati chiusi.

Il 1° ottobre 2020 il ministro della salute Roberto Speranza ha firmato un decreto dove ordina che “… composizioni per somministrazione ad uso orale di cannadibiolo ottenuto da estratti di cannabis …” siano inserite in una tabella sui medicinali prevista dal “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.

Come vediamo la legislazione si intercala in modo vario e spesso inefficace. Gli interessi delle multinazionali non guardano nulla e fanno una propaganda spietata diffondendo studi contraffati e notizie non veritiere.

Non c’è soggetto affetto da schizofrenia o psicosi che con lo stesso CBD non vada incontro ad aggravamenti dello stato di salute con incremento dei livelli di aggressività, diminuzione della concentrazione e dei tempi attentivi, decremento della capacità di autocritica, mancanza di adeguati freni inibitori, tendenza all’elaborazione di pensieri paranoici e tanto altro, che rappresentano la premessa di gravi ricadute con comorbidità e l’inizio di un nuovo calvario di malattia che provoca gravi sofferenze in chi ne è colpito, ma che lascia assolutamente indifferenti i trafficanti di droghe e i produttori che vogliono a tutti costi indossare una veste di perbenismo per coprire i loro misfatti!

                                         Giacoma Cultrera

L’immagine di copertina è stata tratta da unspash.

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