Il disturbo ossessivo-compulsivo

Il soggetto con una organizzazione di conoscenza di tipo ossessivo presenta una percezione del sè ambivalente che progredisce lungo i confini di significati antitetici secondo una modalità “tutto o nulla”, tale che ogni mancanza di certezza assoluta viene esperita come totale perdita di controllo. Per questi soggetti l’incontrollabilità è un’esperienza emotiva disastrosa per cui cercano di sedare la perdita di controllo e l’ansia con comportamenti, immagini o pensieri stressanti che tendono a persistere per molto tempo.

Un’organizzazione cognitiva di tipo ossessivo può destabilizzarsi a tal punto da dar luogo a una sintomatologia clinica molto grave e questo avviene in risposta ad una varietà di stimoli che possono essere rappresentati da episodi apparentemente irrilevanti. In genere vanno scandagliate le situazioni di vita emotivamente significative, in cui è difficile discriminare con certezza gli aspetti “positivi” da quelli “negativi”. Tra le situazioni di vita a cui dobbiamo fare più caso ricordiamo: i problemi interpersonali in un rapporto significativo, come difficoltà sessuali, crisi coniugali ecc; la gravidanza ed il parto; le separazioni, la perdita o la malattia di un familiare; i fallimenti in campo professionale. Il soggetto che clinicamente sta vivendo uno scompenso di tipo ossessivo esperisce squilibri mentali caratterizzati dall’interazione tra processi simultanei antagonisti, per  cui da una parte emergono immagini o pensieri intrusivi uniti a emozioni ambivalenti, non in asse con il pensiero e questo rende nullo lo sforzo del soggetto di mantenere una unitarietà del sé percepita come positiva; dall’altra parte attraverso pensieri o comportamenti ripetuti cerca di controllare la negatività da cui si sente invaso.

A livello esplicito i pensieri dominanti invasivi, cioè le ruminazioni, i dubbi, i controlli continui sono fortemente legati, data la correlazione evolutiva tra pensiero e azione, a modelli motori ripetitivi, denominati rituali. I rituali sono attività stereotipate, ripetitive legate ad atteggiamenti magici di controllo assoluto che finiscono con l’inficiare l’autonomia e l’efficienza del soggetto. Sono inutili e angosciosi, ma vengono messi in atto con grande scrupolosità e ricerca di perfezione, infatti riflettono bene lo sforzo di raggiungere un controllo totale su di sé e sull’ambiente circostante e in ultima analisi il tentativo compulsivo di raggiungere almeno una certezza della propria negatività e delle sue possibili conseguenze.

A livello tacito affiorano immagini emozionali bizzarre così vivide e sconvolgenti da essere quasi allucinatorie. Esse provocano oscillazioni emotive intense e improvvise che il soggetto non riesce a fronteggiare, esperendo un forte senso di incontrollabilità, che indurrà una raffica di rituali e compulsioni. In una bassa percentuale di casi, 5% circa, possono andare incontro a vere e proprie reazioni deliranti.

Nella storia di vita di questi soggetti troviamo genitori attenti all’educazione morale e sociale del bambino, ma che non esprimono il loro affetto con tenerezze o altre effusioni. Un esempio è dato dal genitore che parla al bambino dell’amore nei suoi confronti da parte delle figure parentali come uno dei valori più importanti della vita, ma assume contemporaneamente un’espressione rigida ed amimica. I genitori diventano estremamente esigenti nel richiedere un senso di responsabilità ed una maturità sproporzionati all’età del bambino. Le emozioni antitetiche rappresentano il nucleo delle percezioni primarie nella primissima infanzia e condiziona le fasi psicologiche successive di sviluppo. Infatti l’immagine di un genitore completamente dedito al figlio sarà sempre accompagnata dalla percezione dello stesso genitore come controllante, esigente e rifiutante, sovrapponendo al senso di amabilità emozioni quali quelli di rabbia e ostilità. Questa circolarità di emozioni esperite che si ripetono in modo continuo nel tempo riducono in modo drastico la possibilità di raggiungere una percezione unitaria ed integrata del sé.

Il bambino ossessivo tende a diventare disattento alle modulazioni emotive che accompagnano gli stati interni, mentre privilegia il pensiero e le capacità linguistiche. Si crea come scrive Guidano “un primato del verbale” con esclusione selettiva di fantasie, emozioni, impulsi.

Con l’adolescenza cominciano ad avvertire queste esperienze come discrepanti nella percezione del sé. Compaiono i pensieri ripetitivi con ruminazioni e dubbi e a volte anche l’espressione di rituali.

Il soggetto ossessivo tende a raggiungere un rigido controllo riponendo estrema fiducia nel pensiero e escludendo le proprie emozioni, in quanto il suo strumento preferenziale sono le competenze linguistiche e logiche. Tende ad escludere dal suo esperire tutte quelle emozioni ambivalenti che potrebbero indurre in lui uno stato di “incontrollabilità” e l’insorgenza di sensazioni come ostilità, rabbia, impulsi sessuali, che provocherebbero sensi di vergogna e perdita del valore personale. Invece enfatizzano un atteggiamento perfezionistico che sembra aderire fondamentalmente a regole astratte. Così il procrastinare, la preoccupazione eccessiva per i dettagli accompagnano situazioni significative come matrimonio, gravidanza, nascite, divorzi ecc, al fine di evitare errori o danni.

La discriminazione insolubile diventa una sorta di strategia patologica per raggiungere un’esperienza unitaria della realtà.

Il dubbio sistematico mina la loro continua ricerca di certezza, d’altronde il controllo eccessivo sugli stati emozionali interni fa sì che affiorino immagini intrusive e incontrollabili che mettono in discussione l’illusoria unitarietà del sé che avevano appena raggiunto.

In realtà il soggetto con organizzazione di conoscenza di tipo ossessivo nel corso della sua evoluzione temporale, cioè della progressione ortogenetica, potrebbe decodificare e strutturare una percezione unitaria di sé solo attraverso una progressione di crisi e riaggiustamenti personali che partendo da oscillazioni della percezione emozionale giungano all’unitarietà del sé ed alla coerenza sistemica. In modo più semplice possiamo dire che il cambiamento in questi casi consiste nella scoperta esistenziale che l’identità del sé non può basarsi sull’assolutezza del pensiero quanto invece sulla percezione dell’irripetibile unicità della propria vita emotiva.

                                       Giacoma Cultrera

2 Comments

  1. Grande articolo Giacoma.
    Credo che in tanti si vedono i tratti caratteriali da te descritti, ma solo pochi hanno capacita’ critica di riconoscerli ed iniziare un percorso adeguato.

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