L’aggressività

Secondo Konrad Lorenz i comportamenti aggressivi nell’uomo dalle guerre ai litigi derivano da un istinto primario presente da un punto di vista filogenetico ed alimentato da una forza energeticamente presente. Per Lorenz l’aggressività è una forza interiore che tende a scaricarsi, cercando l’occasione opportuna, ed è al servizio della vita, perché serve a mantenere la sopravvivenza dell’individuo e della specie.
Nonostante la spontaneità dell’impulso aggressivo e la sua pericolosità, essendo un istinto innato e in quanto tale non eliminabile, molto raramente gli animali della stessa specie si uccidono tra loro. Questo è reso possibile dall’intervento di meccanismi frenanti, dei quali uno è il “moto ri-diretto” cioè un’attività, che viene innescata da elementi con funzione inibente, e che viene scaricata su un altro oggetto. L’altro meccanismo è la “ritualizzazione”, concetto che si riferisce a quei comportamenti che hanno perso la specifica funzione originaria e che si sono trasformati in cerimonie simboliche e che sono rappresentati dall’esibizione di atteggiamenti di minaccia sino alla lotta ritualizzata vera e propria. Nel corso dell’evoluzione la funzione di questi meccanismi è consistita nel dirottamento di impulsi aggressivi verso canali innocui per la preservazione della specie.
La ricerca etologica ci ha insegnato che ci sono delle classi di eventi che tendono ad innescare impulsi aggressivi. In genere, minacce, sfide, cambiamenti nello stato gerarchico, perdite di varia consistenza tendono a scatenare impulsi aggressivi. Tuttavia, bisogna operare una distinzione tra istinto aggressivo e comportamento dello stesso tipo che si può tradurre in violenza. A che un individuo possa trasformare l’impulso aggressivo in comportamento violento è necessario che si combinino tutto un insieme di fattori, che agiscono come amplificatori dell’istinto che avverte. Esempi di fattori che agiscono da amplificatori sono i problemi scolastici, una storia di azioni aggressive, sensazioni notevoli di sfiducia, facile accesso alle armi e un atteggiamento tollerante da parte dell’ambiente dell’espressione della violenza. I fattori che attenuano la violenza, invece, sono la timidezza, i legami familiari forti e il sostegno sociale circostante.
Le complesse interazioni fra queste variabili determinano la probabilità che un individuo traduca l’impulso aggressivo in comportamento violento manifesto.
La letteratura sull’aggressività è molto vasta e molte sono le interpretazioni che sono state espresse. Freud la identificò come l’impulso più antico, mentre Sullivan affermò che il suo scopo probabilmente consisteva nella sedazione dell’ansia. L’obiettivo non era quello di fuggire, bensì di distruggere le situazioni nocive.
Anche gli etologi si sono molto occupati di aggressività e della sua interpretazione nel comportamento animale ed umano.
Scott (1980) ha descritto l’aggressività come uno dei nove adattamenti fondamentali che quasi tutti gli organismi possiedono, dal pesce siamese ai galletti. Dal punto di vista etologico l’aggressività è un versante del comportamento agonistico, l’altro è rappresentato dalla fuga o dall’evitamento.
Questi studi hanno dimostrato che nell’uomo come negli animali esiste una predisposizione genetica, la cui espressione fenotipica può essere modificata durante l’allevamento. Infatti, l’allevamento selettivo riesce a modificare la soglia media di reazione aggressiva ad uno stimolo, ma ciò non avviene in modo uniforme per tutti i membri appartenenti alla stessa specie.
Altri studi hanno dimostrato che la stimolazione elettrica di nuclei sottocorticali come il talamo o l’amigdala induce comportamenti di attacco sia nell’uomo che negli animali. I tumori cerebrali del lobo temporale si associano spesso a maggiore irritabilità e ad attacchi di distruttività immotivata. Anche alcune forme di epilessia possono provocare comportamenti irritabili ed aggressivi.
K. Lorenz ha indicato almeno quattro funzioni dell’aggressività nel gruppo: essa tende a distanziare i membri di un gruppo nell’ambiente in base alle risorse di cibo disponibili; seleziona i maschi più forti per la protezione del gruppo e per mettere al mondo le generazioni future; proteggono la prole in situazioni di pericolo o minaccia.
Novaco ha affermato che la rabbia e l’aggressività aumentano nell’uomo l’energia e l’intensità con cui opera per raggiungere degli obiettivi. Persone molto tranquille e amichevoli se marciano davanti ad un centro per l’aborto urlano, minacciano, lottano con la polizia. La rabbia aumenta il senso del potere e può facilitare il raggiungimento degli obiettivi. L’uso di espressioni di rabbia ed aggressività spesso viene usato per intimidire gli altri, aumentando, così, le proprie capacità di risorse e di sopravvivenza di fronte alle minacce. La rabbia come l’aggressività attutisce l’ansia, il senso di insicurezza personale, l’impotenza e incrementa il senso di invulnerabilità.
L’aggressività in quanto condotta apertamente diretta contro gli altri sotto forma di comportamenti violenti si manifesta in molti disturbi psichiatrici, nei quali ovviamente rappresenta un sintomo all’interno di una vasta costellazione patologica. Pazienti schizofrenici, bipolari, dementi, alcolisti, cerebrolesi, epilettici, chi fa uso di droghe, possono con frequenza elevata manifestare un comportamento violento.
La violenza, però, primeggia soprattutto nei disturbi del II ASSE, cioè nel disturbo borderline di personalità, in quello antisociale e nel disturbo passivo-aggressivo.
Data l’eziologia multifattoriale del paziente violento difficile diventa la strategia di intervento soprattutto quando si è chiamati d’urgenza non conoscendo nulla della storia clinica del soggetto. Nell’emergenza l’unica possibilità del medico è quella farmacologica con un effetto di sedazione forte e immediata come con l’uso di neurolettici molto sedativi, di benzodiazepine e anche di barbiturici se occorre, proprio per il loro sicuro effetto sedativo e la rapidità d’azione.
Naturalmente quando ci si trova innanzi ad un paziente psichiatrico, superata la fase critica di acuzie, si deve procedere con un intervento strutturato sia farmacologicamente che dal punto di vista psicoterapico, là dove è possibile.
Quando la rabbia si scatena in forma estrema per cui altre persone possono o rimangono danneggiate il controllo sociale che viene utilizzato è quello della punizione.
La punizione e la sua validità nello scoraggiamento di certi comportamenti è fino ad oggi motivo di ampio dibattito sociale, perché spesso non sortisce gli effetti sperati.
Un genitore che picchia sovente diventa un cattivo modello che può essere imitato.
Una tecnica che ha dato buoni risultati se applicata bene e fin dall’inizio è il time-out, ovvero la sottrazione del rinforzo sociale, quando si verificano comportamenti violenti. Tutte le manifestazioni di collera, autolesionismo, attacchi contro altri bambini o insegnanti, urlare, mordere o distruggere oggetti per non rinforzarle se il bambino le emette va chiuso in una stanza senza niente per un breve periodo. Si è visto che se è applicata con coerenza il comportamento violento viene scoraggiato nella sua espressione. Queste tecniche si accompagnano al rinforzo di comportamenti positivi con l’uso di gettoni che i bambini possono scambiare con ricompense che desiderano. Agendo all’inizio si ottengono dei risultati anche perché si interviene su tutto l’entourage che può fornire esempi o, comunque, stimoli negativi.
Giacoma Cultrera
L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash.