I disturbi cognitivi nel ritardo mentale

In quest’articolo la Dott.ssa Cultrera presenta la tematica del ritardo mentale e delle possibili terapie con progetti di inserimento nel sociale.

Secondo i codici internazionali (DSM) il ritardo mentale rappresenterebbe la via finale dell’azione comune di agenti patogeni di diversa natura che agiscono sul sistema nervoso centrale. Per essere definito tale il soggetto deve presentare un Q.I. inferiore a 70, una incapacità di adattarsi alle richieste di un ambiente sociale normale e l’insorgenza prima dei 18 anni.

Il deficit cognitivo è generalizzato, ma la compromissione delle diverse aree non è omogenea. Molti studi hanno messo in evidenza come i soggetti con ritardo mentale mostrano un’intaccatura più evidente dei meccanismi cognitivi volontari, mentre il funzionamento dei processi automatici sarebbe relativamente preservato.

Il termine ritardo mentale indica una struttura generale della personalità e, al contempo, una sindrome complessa nella quale convergono disturbi cognitivi, motori, linguistici, affettivi e relazionali.

Descriviamo alcuni dei deficit più costanti:

Il disturbo cognitivo rappresenta il sintomo centrale: la riduzione dell’efficienza nell’ambito della cognizione può essere valutata in vario modo, ma i differenti criteri concorrono tutti a definire la diversa dimensione dell’intelligenza. Il criterio psicometrico ci permette di valutare il tipo di Quoziente intellettivo innanzi al quale ci troviamo e che contribuisce a determinare il livello di gravità di questi pazienti. Normalmente presentano fasi di rallentamento del processo evolutivo, ma le aree cognitive non sono intaccate tutte allo stesso modo: si parla, infatti, di disarmonie cognitive. Conseguenza immediata di tale deficit è il disturbo dell’apprendimento strumentale in ambiti come la lettura, la scrittura, il calcolo et al. Tuttavia, questi danni sono possibili solo nei casi lievi e nella scolarizzazione i soggetti non superano, in genere, il livello della scuola elementare.

Il disturbo linguistico è sempre presente anche se con entità variabile. Nelle forme più gravi il linguaggio espressivo è assente e limitato all’emissione di suoni inarticolati. Esistono forme intermedie, nelle quali si sviluppa l’acquisizione di poche parole base per esprimere alcuni bisogni primari. C’è il livello della parola frase (mamma, pappa…) e uno più evoluto, dove alla parola viene associato un concetto più elaborato: a volte arrivano alla formulazione soggetto-verbo-oggetto. Nei casi più lievi, invece, il linguaggio espressivo è più ricco, fluente, ma generalmente povero a livello sintattico. Le capacità di comprensione risultano compromesse anche se in misura minore rispetto a quelle espressive.

Il disturbo psicomotorio è presente. Si registra goffaggine: l’essere impacciati e rigidi denota una scarsa capacità di differenziazione dei diversi distretti. Nelle forme più lievi questo è evidente nelle prestazioni più raffinate e complesse e spesso si associa ad un disturbo della coordinazione  motoria e della precisione del gesto. Si riscontra sempre una difficoltà nell’organizzazione prassica così come è altrettanto frequente la presenza di un’alterazione della rappresentazione dello schema corporeo. In quest’ambito si inseriscono anche i disturbi dell’organizzazione spazio-temporale, componente fondamentale per raggiungere un certo livello di autonomia.

I disturbi affettivi e comportamentali sono molto frequenti. La natura di questi disturbi è fortemente condizionata dal grado di compromissione cognitiva presente.

I disturbi dell’adattamento sociale e dell’autonomia personale sono una conseguenza dei disturbi affettivi e cognitivi.  Le capacità di alimentazione autonoma, di igiene personale, dell’uscita dall’ambiente familiare così come le capacità di autostima e di iniziativa risultano, comunque, indebolite.

Si distinguono, in base a quanto esposto, diversi quadri clinici:

La forma di grado lieve è quella di gran lunga più frequente. In questi casi il livello cognitivo rimane ancorato ad una sorta di pensiero concreto, mentre l’astrazione è ridotta e l’apprendimento difficoltoso. È l’ingresso a scuola che rivela questi tratti; tuttavia, il soggetto può raggiungere il risultato di imparare a leggere e a scrivere a un livello sufficiente. Il linguaggio non è in genere compromesso se non per la povertà del vocabolario. L’assetto psicomotorio può essere adeguatamente evoluto e presentano una struttura affettiva armonica, anche se mantengono una certa impulsività. L’adattamento sociale è buono, ma risulta molto influenzato dalla componente ambientale e familiare in cui il soggetto si ritrova a vivere.

La forma di grado medio si caratterizza per un livello cognitivo che si ferma alla fase preoperatoria. L’apprendimento scolastico è compromesso nella maggior parte dei casi: solo pochi arrivano ad acquisire i rudimenti della lettura e della scrittura. Il linguaggio è presente, ma è molto semplificato nel lessico e nella sintassi, invece la comprensione è migliore. L’assetto psicomotorio è goffo con scarsa coordinazione dei movimenti. La personalità mostra tratti disarmonici, ma il livello di autonomia è buono.

La forma di grado grave raggruppa i soggetti il cui livello cognitivo è vincolato alla fase sensomotoria. Il linguaggio espressivo è assente e la comunicazione con l’esterno avviene attraverso la mimica o con una gestualità semplice. Lo sviluppo psicomotorio è molto grossolano e l’oggetto viene utilizzato per eventuali stimolazioni sensoriali. Sono presenti difficoltà relazionali, mentre l’autonomia motoria è piuttosto ridotta. Non è rara l’associazione con altri sintomi motori, sensoriali, epilessia, malformazioni scheletriche e viscerali.

La presenza di disturbi cognitivi di varia entità modifica i meccanismi psicopatologici intrinseci e favorisce l’associazione con patologie psichiatriche come: i disturbi dell’umore, i disturbi psicotici, i disturbi del comportamento, i disturbi di personalità o i disturbi d’ansia. La terapia farmacologica spesso viene utilizzata per motivi legati al contenimento comportamentale o alla cura di patologie concomitanti come l’epilessia.

La riabilitazione implica la possibilità di innescare un processo trasformativo: può essere individuale o di gruppo e bisogna distinguere gli interventi che si propongono esclusivamente una modifica comportamentale da quelli che, invece, cercano di favorire una costruzione di strutture mentali.

Le terapie cognitivo-costruttiviste partono dall’utilizzo di tecniche comportamentali che promuovono le condotte più adattive, incrementando le autonomie primarie del soggetto, regolando le relazioni sociali e cercando di definire in modo più adeguato l’uso del linguaggio.

A queste si associano tecniche di tipo costruttivista, che considerano il soggetto ritardato come un essere attivo, il quale contribuisce alla costruzione delle proprie strutture mentali. Si individuano strategie che facilitano l’assimilazione delle esperienze o tecniche che favoriscono una evoluzione dallo stadio sensomotorio oppure da quello preoperatorio, piagetianamente parlando, verso quelli superiori. Con tali interventi diversificati si riesce a modificare la natura e la rigidità delle rappresentazioni del Sé cognitivo. I trattamenti comportano nella maggior parte dei casi il coinvolgimento della famiglia. L’utilizzo di tecniche psicoterapiche ha senso se ad esse si associano interventi di tipo sociale.

Per una buona parte di questi soggetti è possibile l’inserimento con supporto nella scuola materna, elementare, media inferiore e superiore. Naturalmente si persegue lo scopo secondario di favorire i rapporti con i coetanei, così come diventa fondamentale l’inserimento lavorativo protetto, che oggi rappresenta sempre più spesso una conquista di integrazione e civiltà.

                                                Giacoma Cultrera

L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash.

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