L’attaccamento disorganizzato

La psicopatologia è stata notevolmente arricchita, negli ultimi vent’anni, dalle ricerche sui sistemi motivazionali.

In quest’articolo mi soffermerò sull’architettura generale composta dall’insieme dei sistemi motivazionali nei primati e nell’uomo. In particolar modo valuteremo il rapporto delle motivazioni con le emozioni e con le strutture di significato.

Ho descritto i sistemi di attaccamento e di accudimento patologici, ricevuti durante la primissima fase della storia di vita, i quali si collegano allo sviluppo di psicopatologie come panico, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo.

Un approfondimento a parte richiede quell’attaccamento disorganizzato che induce più facilmente il viraggio verso le psicosi e la schizofrenia.

Le teorie dei sistemi motivazionali si integrano con gli esperimenti iniziali della Ainsworth nell’osservazione di bambini molto piccoli e con la brillante elaborazione delle teorie sull’attaccamento di J. Bowlby.

Esiste una forma di attaccamento disorganizzato precoce, che si osserva clinicamente e nel quale oggi molti studiosi ritengono che siano coinvolte delle dinamiche motivazionali abnormi.

La Ainsworth grazie alla “Strange Situation Procedure” ha permesso di individuare tre modelli di attaccamento: il tipo B, definito sicuro, in cui il bambino piange al momento della separazione dal genitore interrompendo il gioco, ma nella fase del ricongiungimento con la figura di attaccamento blocca l’attività ludica, gli corre incontro facendosi consolare e dopo ritorna serenamente a giocare; il tipo A, classificati come evitanti,  perché questi bimbi al momento della separazione continuano le attività di gioco senza piangere né protestare; il tipo C, invece, sono quelli che hanno un attaccamento “resistente-ambivalente”, cioè protestano nell’istante della separazione come quelli “sicuri”, ma poi non riescono a lasciarsi confortare e a calmarsi quando rivedono il genitore.

Ai tre patterns organizzati è stata aggiunta la categoria del comportamento di attaccamento disorganizzato: i bambini che ricevono quest’accudimento si differenziano, perché non sono in grado di organizzare strategie di comportamento coerenti nel dominio dell’attaccamento. È stato osservato che mostrano un forte disorientamento rispetto alle mete delle loro azioni e notevoli oscillazioni dell’attenzione nei confronti della figura di riferimento. Tuttavia, si è anche osservato che un bambino disorganizzato nell’attaccamento con uno dei genitori, al contrario può essere in grado di presentare strategie coerenti e finalizzate con l’altra figura di attaccamento.

Variabili di natura genetica (Lakatos,2000) sembrano esercitare un’azione di facilitazione sulla disorganizzazione in presenza di condizioni ambientali favorevoli. Si ipotizza che la relazione in grado di determinare disorganizzazione dell’attaccamento sia intrisa di paura, che il bambino esperisce nei confronti di quella figura di riferimento.

Il bambino, così, si viene a trovare all’interno di un paradosso insolubile con uno stato di paura senza soluzione. Il “paradosso” è rappresentato dal fatto che la figura di accudimento è al contempo fonte di pericolo e di cura. Il problema, purtroppo, diventa irrisolvibile, perché il sistema motivazionale ha basi biologiche e, di conseguenza, non può essere disattivato né il bambino è in grado di sottrarsi a causa della tenera età. Si crea così un’impasse con una conflittualità insanabile tra il desiderio di allontanamento e la tendenza all’avvicinamento. Da questo blocco deriva il crollo delle funzioni integratrici della coscienza con la conseguente impossibilità di strutturare delle strategie coerenti di comportamento e di attenzione.

Secondo queste teorie la figura di attaccamento può favorire la disorganizzazione sia spaventando in modo diretto il bambino o perché egli stesso spaventato. La prima categoria comprende atteggiamenti violenti di diversa natura, abusi sessuali, trascuratezza fisica ed emotiva. Nel secondo caso è sufficiente lo sguardo spaventato del genitore per indurre uno stato di paura nel neonato. Nel genitore espressioni di paura possono manifestarsi per l’emergere di memorie traumatiche non risolte. È stato ipotizzato che lutti o traumi non elaborati possano essere alla base di disturbi dissociativi post-traumatici nel genitore, la cui sintomatologia può manifestarsi in modo subclinico; in questa condizione la figura di attaccamento può presentare, però, stati ipnoidi che estromettono le funzioni integratrici della coscienza. Tali momenti confusionali con probabile interruzione dello stato di coscienza nel genitore diventano un fattore capace di provocare disorganizzazione mentale nel bambino.

È stata avanzata l’ipotesi secondo la quale un attaccamento disorganizzato nella prima infanzia possa costituire un fattore di rischio per tutti i disturbi psicopatologici, come lo stato dissociativo e il disturbo bordeline di personalità, che presentano la dissociazione come nucleo fondamentale della loro etiopatogenesi.

L’attivazione di uno stato dissociativo a livello interno è praticamente incompatibile con una rappresentazione unitaria di sé con l’altro, che in condizioni normali è integrata dalla coscienza: tutto ciò rappresenta un ostacolo a che si sviluppino armonicamente quelle capacità mentali che rientrano nella metacognizione.

I processi che permettono una continuità fra attaccamento precoce e funzionamento mentale in età adulta sono rappresentati dai modelli operativi interni, cioè dalle iniziali strutture di memoria ed emozionali che si organizzano a livello implicito proprio a partire dalle prime esperienze di accudimento.

Nell’attaccamento disorganizzato l’esperienza della “paura insolubile” porta alla formazione di modelli operativi interni non solo “drammatici” dal punto di vista emotivo, ma anche frammentati e incompatibili con i processi di integrazione e sintesi caratteristici della coscienza.

Scrive Liotti G. “La metafora del triangolo drammatico, in cui si alternano rappresentazioni di sé-con-l’altro che rimandano ai prototipi del salvatore, della vittima e del persecutore, può riassumere le caratteristiche fondamentali del MOI disorganizzato” (MOI=modelli operativi interni).

                                               Giacoma Cultrera

L’immagine di copertina è tratta da unsplash.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *