I Disturbi della condotta nei bambini

I disturbi della condotta nell’età evolutiva sono l’esempio del risultato di vasta rete di interazioni, che non possono essere spiegati con un unico fattore. L’aggressività che si manifesta nel bambino è un tratto piuttosto stabile e, in genere, è un elemento predittore del fatto che lo ritroviamo nell’adolescenza. 

Il disturbo della condotta nell’infanzia si può manifestare con sintomi semplici, come crisi pantoclastiche, di collera, disobbedienza, etc…, ma possono diventare nell’adolescente, se trascurate, molto più complesse con grosse irregolarità ed abnormi disadattamenti di inserimento nel tessuto sociale.

I bambini che hanno questi disturbi sono divisi in gruppi in base alla prevalenza dei sintomi:

  1. Sono bambini disadattati, aggressivi, turbolenti, con una tolleranza alla frustrazione molto bassa e non sono capaci di trattenere i loro impulsi, perché sentono l’urgenza di dare soddisfazione immediata ai loro desideri.
  2. Non si proiettano nel futuro immediato e non sono preparati a superare il fallimento senza provare rabbia e delusione spropositati.
  3. Presentano desideri deboli, non adeguati e confusi e, di conseguenza, tendono ad interpretare qualunque limitazione loro imposta dagli adulti come forme di rifiuto affettivo.
  4. In ultima analisi mostrano evidenti disturbi nella sfera relazionale, sono attanagliati da sensi di colpa conseguenti ai loro fallimenti, hanno un senso di responsabilità molto ridotto e non sono in grado di resistere alle tentazioni.

Pertanto, in base alle teorie antropologiche questi soggetti deviano perché hanno impulsi molto potenti e capacità di controllo molto deboli.

È un dato oramai accertato che i disturbi della condotta variano da un punto di vista percentuale da 1.5% a 5.5% a seconda dell’età del paziente, dell’appartenenza (rurale o urbana) e degli strumenti di valutazione adottati. È nettamente più colpito il sesso maschile ed il disturbo tende a persistere nell’età adulta, almeno quando si manifesta fin dall’infanzia. Quelli, invece, insorti più tardivamente nell’adolescenza sono di più facile risoluzione.

Complesse risultano le interrelazioni di comorbidità con i disturbi specifici dell’apprendimento, con l’abuso di sostanze, con comportamenti come il suicidio o il tentato suicidio.

I disturbi della condotta anche in fase adolescenziale sono rappresentati da una serie di comportamenti che infrangono sistematicamente i diritti degli altri e le regole sociali. Si ha l’aggressione verso persone e animali, la distruzione di proprietà, l’inganno e il furto, e, infine, il vagabondaggio, la mancata frequenza scolastica. In genere queste condotte deviate si manifestano con maggiore costanza intorno ai 13 anni.

A seconda della intensità clinica con cui si presentano vengono classificati in lievi, medi e gravi. Dal punto di vista psicologico-emotivo questi soggetti si connotano per essere scarsamente empatici, non si identificano adeguatamente con il loro prossimo, tendono ad attribuire all’altro intenzioni aggressive, proiettano il loro stato emotivo operando un’attribuzione di causa esterna, hanno una tolleranza alla frustrazione molto bassa, mostrano interessi sessuali piuttosto precocemente, e altrettanto presto acquisiscono abitudini negative quali il fumare o il bere alcolici.

Ovviamente l’insieme di tutti questi aspetti comportamentali rende difficoltoso il loro inserimento nel tessuto familiare quanto in quello scolastico, dove ottengono risultati assai scarsi.

I disturbi realmente tali tendono a degenerare in vere e proprie forme psicopatologiche, che, purtroppo, hanno fatto registrare il loro netto incremento negli ultimi decenni specialmente nelle aree urbane.

Il disturbo della condotta è spesso intersecato con altre gravi patologie come il Disturbo Bordeline di personalità, il Disturbo Antisociale di personalità o ancora si embrica con il quadro del Disturbo Oppositivo, Provocatorio rendendo la manifestazione clinica complessa e disordinata.

Nei tentativi di cura si ritorna sempre alla dimensione psicologica della microrelazione genitore-bambino, che in questo caso è inevitabilmente compromessa. Il disturbo è espressione di un rapporto affettivo critico e difficile, che i terapeuti individuano come l’elemento base da cui tutto viene generato.

Gli interventi prevedono anche una serie di provvedimenti sul piano psicologico e ambientale.

Se il disturbo è associato a un palese disordine del tono dell’umore o ad un elevato stato d’ansia, allora l’uso razionale del farmaco è giustificato per migliorare la compliance ed attutire i sintomi più distonici sul piano sociale del ragazzo.

Stabilizzatori del tono dell’umore e neurolettici sembrano essere i farmaci che riescono più ad incidere sui sintomi fuori controllo come l’impulsività e l’aggressività. Tuttavia, le risposte individuali sono molto differenziate e per la difficoltà di seguire questi ragazzi che spesso trovano terreno fertile in ambienti vicini al crimine non abbiamo dati certi sugli effetti della terapia sul lungo tempo.

La psicoterapia sia quella individuale che familiare rivestono un ruolo di primo piano, perché sono finalizzate ad ottimizzare quelle risorse residue che ancora possiamo trovare nel nucleo familiare. Le potenzialità che la famiglia presenta vengono utilizzate anche per un adeguamento a modelli comportamentali funzionali, seguendo precise indicazioni psicopedagogiche.

Su un piano relazionale si cerca di esplorare e recuperare per quanto possibile il rapporto genitore-figlio. Importante è, infatti, valutare la possibilità delle aree di recupero e sviluppo sul piano emozionale di un rapporto affettivo che certamente ha presentato troppe crepe e impossibilità di crescita adeguata, secondo le necessità ampiamente descritte nel rapporto di accudimento dei piccoli di homo sapiens. 

Fondamentali sono anche gli interventi preventivi, che comportano la coordinazione di una serie di provvedimenti che riguardano la complicata sfera sociale.

                                    Giacoma Cultrera

L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash. 

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